“Il seminatore di Dio”, il primo volume delle Omelie di p. Cristiano Cavedon osm

Nella struttura dei testi di commento ai Vangeli della Domenica di padre Cristiano M. Cavedon trovo assonanze per certi versi analoghe a quelle dei versetti biblici: per la chiarezza assertiva, per i ritmi incisivi, per il sobrio candore con cui interpretano e trasmettono i fondamenti della parola divina liberandoli dalle superfetazioni, dalle incrostazioni sovrapposte nel tempo alla loro adamantina purità. Essi hanno la fresca limpidezza dell’acqua sorgiva, sono linfe che rigenerano le nostre anime stanche, distratte, adagiate nella passiva ripetizione di formule consunte dall’uso, ridotte quasi a scorze di corpi disseccati. Come scrosci di pioggia su campi inariditi fanno nuovamente lievitare i densi e vitali profumi della terra tornata a fecondare. Le parole del sacerdote, nate dal cuore prima ancora che dalla profondità di pensiero, ricadono nel cuore e nella mente degli ascoltatori. Continua a leggere “Il seminatore di Dio”, il primo volume delle Omelie di p. Cristiano Cavedon osm

Annibale Frossi, il campione con gli occhiali

Parecchi anni fa un anziano ragognese, già stimato maestro di scuola, accennando alle passioni sportive della sua gioventù ed ai ricordi di un’epoca ormai lontana ma alla quale ripensava con un certo orgoglio, mi fece con sincera ammirazione il nome di Annibale Frossi. Ricordava nitidamente le gesta e la fama del “campione con gli occhiali”, nella maglia nerazzurra dell’Ambrosiana-Inter ed in quella azzurra della nazionale italiana, vincitrice dell’oro olimpico a Berlino nel 1936. Da giovanissimo appassionato di calcio ed “interista”, anche a me quel nome non era sconosciuto. Qualche tempo prima, alcune vecchie fotografie “in bianco e nero” riprodotte sulla rivista ufficiale del celebre club milanese mi avevano fatto scoprire un volto reso inconfondibile da un paio di occhiali a lenti tonde ed infrangibili, legati alla nuca da un elastico.
Il primo giocatore della Serie A con gli occhiali! E che giocatore! Continua a leggere Annibale Frossi, il campione con gli occhiali

La Danza Macabra

La Danza Macabra è la manifestazione medievale della caducità della vita umana e del trionfo della morte realizzata attraverso un tema iconografico in cui danzano uomini e scheletri. Esprime il concetto, spesso dimenticato, che di fronte alla morte siamo tutti uguali, senza eccezioni. Umili e potenti non possono sottrarsi all’ineluttabile momento in cui arriva la fine della nostra esistenza. Nel Tardo medioevo il monito latino “memento mori”, cioè ricordati che devi morire, fu rappresentato soprattutto con affreschi dipinti di solito nei luoghi di culto, come chiese e cappelle votive, oppure chiostri e ossari. Gli affreschi che riproducono la danza macabra sono numerosi in Europa, sparsi in Italia, Francia, Germania e nei paesi nordici. Questi dipinti di solito rappresentano un corteo con diversi personaggi appartenenti a tutte le classi sociali che si trovano, prima o dopo, a dover pagare il debito con la Signora dal mantello nero e la falce. Continua a leggere La Danza Macabra

Il generalissimo Suvòrov in Friuli

Nella primavera del 1799 il destino condusse in terra friulana colui che ancor oggi è considerato il più grande comandante dell’intera storia militare russa, il “generalissimo” Aleksandr Vasil’evič Suvòrov, a quel tempo alla guida del corpo di spedizione imperiale inviato in Italia dallo zar Paolo I per combattere le truppe napoleoniche, al fianco di quelle austriache.
In pochi avrebbero creduto che quel bambino dal fisico piuttosto gracile, nato a Mosca il 24 Novembre del 1729 da un’agiata famiglia di lontane origini svedesi potesse diventare un comandante invitto, destinato a coprirsi di fama in Russia ed in tutta Europa.

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“Transitoria”: l’ultimo lavoro poetico di Antonella Sbuelz

Il significato particolare di questa silloge non è quello di un ritorno di Antonella Sbuelz alla poesia, ma piuttosto di una sintesi del suo percorso di scrittura: Transitoria viene a racchiudere elementi presenti anche nella narrativa e costituenti la sua matrice culturale, etica e ideale. Sul titolo del libro (interpretabile su molteplici piani) torneremo nel corso dell’analisi del testo.

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Recuperare le ferrovie abbandonate come percorsi ciclopedonali

2013_03_03 ciclisti davanti al castello

Nessuno è mai salito su un treno per andare da Udine a Majano, passando per i paesi delle Colline moreniche friulane. Eppure, già dalla periferia nord-ovest del capoluogo friulano e per oltre 26 km incontriamo opere e costruzioni che riconosciamo subito come tipicamente ferroviarie: vecchie stazioni abbandonate con locali di servizio e marciapiedi, caselli, rilevati ferroviari e trincee, ponti e viadotti. Le foto satellitari, ormai a disposizione di tutti, ci aiutano ad individuare sul territorio delle strane “strisce verdi”, ora inglobate nella città e nel paesaggio campestre, che fanno proprio intuire come in quei luoghi fu realizzato qualcosa che poi fu abbandonato. È vero: quello che iniziò quasi cent’anni fa non fu mai portato a termine.
Il 1° agosto 1914 scoppiò la 1.a Guerra mondiale: la Germania attaccò la Russia e qualche giorno dopo il Belgio e la Francia. Quattro giorni prima, l’Impero Austro-Ungarico aveva dichiarato guerra alla Serbia, dopo l’uccisione a Sarajevo dell’Arciduca Francesco Ferdinando e di sua moglie. L’Italia, in quei momenti, rimase neutrale, ma i suoi emigranti in Germania e in Austria-Ungheria dovettero ritornare immediatamente a casa: erano centinaia di migliaia di lavoratori, moltissimi dei quali friulani che operavano principalmente nell’edilizia. Bisognava urgentemente trovare un’occupazione a questa gente, che affollava i paesi senza lavoro e danaro per far sopravvivere le famiglie.
Perciò gli allora deputati friulani Girardini e Di Caporiacco pressarono insistentemente il Ministro dei Lavori Pubblici, Ciuffelli, affinché varasse una serie di opere pubbliche per impiegare questa massa di sfortunati, sperando di evitare lo scoppio di disordini sociali e “socialisti”. Nel novembre 1914 venne approvato il progetto della ferrovia Udine-Majano; già nel gennaio 1915 furono eseguiti gli espropri e iniziarono subito i lavori. La disoccupazione creava tensione fra la popolazione e gli amministratori locali chiedevano al direttore del cantiere di assumere quanti più operai locali possibile. I salari erano però molto bassi e queste continue assunzioni generavano inoltre ulteriori attriti tra gli stessi lavoratori. Ci furono gli scioperi e gli interventi dei politici locali per aumentare le paghe, ma il 24 maggio 1915 anche l’Italia entrò in guerra e si sospesero i lavori appena iniziati: gran parte di questa massa di lavoratori fu mandata al fronte.
Finita la guerra, si ripropose il problema di dare lavoro, questa volta ai soldati friulani smobilitati; nel 1919 riprese la realizzazione della ferrovia. Dopo ulteriori 10 anni di attività si sospese tutto e nel 1932 la costruzione venne definitivamente abbandonata. Questa ferrovia non aveva più scopo, le strategie sociali, economiche e territoriali italiane erano cambiate. Non interessava nemmeno alla gente del luogo: stavano arrivando le automobili, i torpedoni, i camion e quindi ci si poteva spostare in altra maniera.
E’ proprio tra il 1932 e il 1935 che numerose ferrovie locali italiane furono chiuse, specie a Nord-Est. Tanti km di strada ferrata, che erano stati stesi per portare soldati e rifornimenti al fronte, diventarono costosi ed obsoleti. Molte linee, specialmente quelle a scartamento ridotto, vengono abbandonate e successivamente smantellate: oltre alla Udine-Majano (che era progettata a scartamento normale), in Friuli questo destino toccò alla Tolmezzo-Paluzza, alla Villa Santina-Ovaro, alla Cividale-Stupizza-Caporetto, alla Cervignano-Belvedere di Grado; in Istria si chiuse la famosa “Parenzana”, che trasportava a Trieste i lavoratori ed i contadini con i generi alimentari per i mercati cittadini.
Nulla fu più toccato per decenni sulla Udine-Majano: 26 km a cui mancavano soli i binari per avere l’onore di essere chiamati “ferrovia”, perché il resto c’era quasi tutto: ponti, viadotti, stazioni, marciapiedi, caselli,… una ferrovia “fantasma”, che però ha segnato a lungo il paesaggio udinese e collinare friulano.
Ci pensò il terremoto del 1976 a cambiare il silenzioso destino della mancata strada ferrata. Una parte delle opere di servizio venne gravemente danneggiata e successivamente demolita. Poi, altri pezzi della ferrovia furono abbattuti: gran parte del rilevato e del ponte che superava la Roggia di Udine in Viale Vat, per costruire al suo posto una piazza del mercato, ed anche tanti ponticelli e sovrappassi su strade comunali e provinciali che limitavano qua e là il transito dei veicoli più grandi. Infine, la Provincia di Udine, nel Comune di Tavagnacco e nel tratto tra Colloredo di Monte Albano a Majano, realizzò sul tracciato una parte importante dell’attuale S.P. 49 “Osovana”.
Il tempo ed il cemento non sono però riusciti a cancellare tutto! Diversi tratti sono ancora percorribili nella periferia nord-ovest di Udine, così come nel Comune di Pagnacco. Qualche breve tratto è stato recuperato a percorso ciclabile vicino Fontanabona e il viadotto sul t. Cormor fa bella presenza sul percorso dell’Ippovia. Nel Comune di Udine restano ancora inutilizzati 2,150 km di tracciato tra Via A. Orologio e la rotonda della S.P. 49 a sud di Feletto, suddivisi in vari spezzoni abbastanza contigui fra loro: per questi tratti, negli ultimi tempi, l’Amministrazione comunale ha previsto il recupero a pista ciclopedonale e diverse associazioni hanno proposto progetti per trasformare il sedime abbandonato in un itinerario naturalistico-culturale. Il Comune di Pagnacco sta invece progettando di recuperare gran parte dei 4,4 km di tracciato abbandonato nel suo territorio come pista ciclopedonale che colleghi il capoluogo a Fontanabona, a Zampis, a Plaìno, all’Ippovia del Cormor ed al centro commerciale CittàFiera. La stazione di Fontanabona è stata acquistata e ben recuperata da privati e così anche qualche casello.
Recuperare le ferrovie abbandonate come percorsi ciclopedonali: è uno dei più importanti obiettivi della FIAB-Federazione Italiana Amici della Bicicletta Onlus, associazione ambientalista di livello nazionale, nata nel 1992, che unisce una galassia di 130 Associazioni locali, con quasi 20.000 soci complessivamente. La FIAB si adopera affinché sia recuperato totalmente questo immenso patrimonio ferroviario (più di 5.000 km di ferrovie dismesse in Italia) puntando a preservarlo come tassello primario di una rete nazionale di percorrenza esclusivamente ciclistica e pedonale. Il recupero vuole mantenere viva la memoria di luoghi storici, di toponimi, di vedute e paesaggi, di storie di vita sociale e personale, memorie che diversamente andrebbero irrimediabilmente perdute. Si mira anche a mantenere, seppur con funzioni diverse, il bene materiale in mani pubbliche e la continuità spaziale dell’opera. Tutto questo è un grande progetto culturale, prima che infrastrutturale.
La legge 19 ottobre 1998, n. 366, fortemente voluta dalla FIAB e riguardante le “Norme per il finanziamento della mobilità ciclistica”, all’art. 8 prevede che l'area di sedime delle ferrovie dismesse o in disuso sia utilizzata prioritariamente per la realizzazione di piste ciclabili. Agli Enti competenti é demandato il compito di individuare i tracciati ferroviari utilizzabili a tal fine e di programmare la realizzazione di itinerari ciclabili ad uso turistico. Anche in Friuli Venezia Giulia, proprio con gli Enti locali, la Regione e le Province innanzitutto, la FIAB ha fatto sentire la sua voce tramite le 4 Associazioni locali che vi aderiscono ed i risultati si sono visti.
Fondamentale è stato lo stimolo culturale e progettuale, la fattiva collaborazione con gli Enti pubblici coinvolti e la propaganda in Italia e all’estero che le Associazioni FIAB hanno svolto e svolgono tuttora per il recupero a pista ciclabile della vecchia ferrovia “Pontebbana” nel tratto tra Carnia e Tarvisio, della Tarvisio-Fusine-Jesenice (SLO) e della Cervignano-Grado: queste ex-ferrovie ora sono la parte più importante della nota Ciclovia Alpe Adria, che dai confini austriaco e sloveno raggiunge il mare Adriatico proprio a Grado. La celebre ex-ferrovia Campo Marzio-Draga S. Elia-Erpelle (SLO), che attraversa l’incantevole Val Rosandra, è stata recuperata a pista ciclopedonale soprattutto perchè l’Associazione FIAB locale ha saputo creare e gestire un forte movimento d’opinione e di mobilitazione popolare nonché la collaborazione progettuale e promozionale con la Provincia di Trieste. È in stato di avanzata progettazione il recupero della Casarsa-Motta di Livenza nel tratto, chiuso dal 1966, tra San Vito al Tagliamento e il confine con il Veneto; più lontana invece la possibilità di vedere trasformata la Casarsa-Pinzano al Tagliamento, nonostante il continuo pressing sulle Amministrazioni pubbliche locali, a causa dell’elevato prezzo che le Ferrovie dello Stato hanno richiesto per la cessione del sedime.
Quale potrebbe essere allora il futuro di ciò che resta della Udine-Majano? La FIAB auspica che si realizzi un collegamento ciclopedonale tra Udine e Colloredo di Monte Albano, riutilizzando 4,100 km (1,250 km in Comune di Udine e 2,900 km in Comune di Pagnacco) dei 6,500 km di tracciato ferroviario abbandonato e non ancora riutilizzato.
L’itinerario proposto parte lungo Via della Scarpata, dall’incrocio con via Feletto, ove inizia il rilevato sterrato già percorribile, seppur un po’ accidentato, solo a bici e pedoni; si prosegue. sempre lungo l’ex tracciato ferroviario fino all’incrocio con Via Buia e poi avanti ancora fino ad uscire lungo Via Paschini in direzione di Colugna. Su questo tratto incontriamo una stazione abbandonata, che potrebbe essere oggetto di ristrutturazione per usi pubblici. Si attraversa l’abitato di Colugna e, superato il sottopasso dell’autostrada A28, si incrocia il percorso dell’Ippovia del Cormor. Seguendo questo itinerario verso nord, si ritorna ad incrociare la vecchia ferrovia. Con la facile realizzazione di un accesso al rilevato che porta al bel viadotto sul t. Cormor, si possono evitare i guadi che rendono ora intransitabile l’Ippovia a pedoni e ciclisti quando piove o c’è deflusso idrico. Rimanendo sul sedime ferroviario, si compie un ampio semicerchio attorno l’abitato di Pagnacco, superando agevolmente i dislivelli delle colline. Uscendo da Pagnacco, si va in direzione di Fontanabona, utilizzando strade esistenti con scarsissimo traffico e poca pendenza che si affiancano al vecchio tracciato. Da Fontanabona, si prosegue sempre per strade esistenti e si supera nuovamente l’autostrada A28; subito dopo si imbocca l’unico tratto di tracciato, lungo circa 900 metri, già recuperato a pista ciclopedonale, che ci porta all’incrocio con la strada che va a Colloredo. Per evitare i saliscendi e il traffico di questa strada, si imbocca la splendida strada provinciale dei 4 Venti, fino ad incrociare via Brazzacco che conduce all’abitato di Colloredo di M.A. e al suo castello.
Un percorso ciclopedonale di 19 km, sicuro ed a pendenza costante (max 3%), che permetta un facile accesso da Udine alle Colline moreniche, terminando proprio al Castello di Colloredo di Monte Albano, uno dei luoghi più intimamente legati alla storia, alla letteratura ed alla cultura friulana. Sarebbe proprio un itinerario utile e bello, sia per gli scopi turistici, sia per gli spostamenti quotidiani (lavoro, scuola, acquisti, ecc.). Inoltre, il progetto di Italia Nostra “Paesaggi sensibili” per la riqualificazione naturale del sedime ad uso didattico e dimostrativo, le idee del WWF per la creazione di un sentiero geologico e altre iniziative per il riuso proposte da comitati locali, si possono ben inserire nell’itinerario complessivo, rendendo la fruizione oltremodo interessante e coinvolgente.

Alberto Deana
Segretario aBicitUdine FIAB

Il Premio di poesia «Giulietta e Romeo di Savorgnan di Brazzà»

Nell’affollato panorama delle centinaia e centinaia di premi di poesia che si celebrano annualmente in Italia, una decina almeno tra Friuli e Venezia Giulia, quello promosso dall’Accademia Città di Udine, con la dodicesima edizione lasciata da poco alla spalle, si è costruita nel tempo una sua garbata identità. Continua a leggere Il Premio di poesia «Giulietta e Romeo di Savorgnan di Brazzà»