Matematica e musica

Matematica e musica sembrerebbero due ambiti molto distinti tra loro. In realtà hanno diversi punti in comune, come si può evincere già dalla loro definizione (tratta da Wikipedia):

  • MATEMATICA: disciplina che studia le quantità, lo spazio, le strutture e i calcoli.
  • MUSICA: arte dell’organizzazione dei suoni nel tempo e nello spazio.

Notiamo che la parola spazio si trova in entrambe le definizioni, così come organizzazione e struttura, che risultano essere due concetti strettamente correlati. Spazio, struttura ed organizzazione sono degli elementi che il linguaggio della matematica descrive in modo puntuale e rigoroso, ma il loro utilizzo viene sfruttato anche nell’ambito artistico così come nella musica.

SUONI ARMONICI

Uno dei fenomeni più significativi nella musica è quello dei suoni armonici: ogni suono contiene in sé infiniti altri suoni (frequenze) che, combinandosi assieme in dosi ed intensità diverse, ci fanno percepire un suono risultante. Ciò significa che ogni nota possiede fisicamente dentro di sé altre note, ma in dosaggi differenti. Ad esempio in un DO si trovano tanti SOL e MI (che originano la triade maggiore), ma anche SIb sebbene in misura ridotta, e anche RE in misura ancora minore.

I primi 16 armonici di DO.
[fig. 1] I primi 16 armonici di DO.
Il fenomeno fisico dei suoni armonici dunque ci permette di discernere quali note sono più vicine e quindi accostabili tra loro (consonanti) e quali viceversa originino sonorità dure all’orecchio (dissonanti) in base alla quantità di armonici che le due note hanno in comune.
Gli armonici hanno frequenze che sono multipli interi delle frequenze della nota fondamentale, ciò implica che il rapporto tra i numeri d’ordine dei vari suoni armonici corrisponde esattamente al rapporto esistente tra le loro frequenze. Es. il rapporto fra il DO2 e DO1 è 2⁄1, infatti la frequenza è doppia nella nota all’ottava superiore. Fra SOL3 e SOL2 il rapporto è 6⁄3, ancora frequenza doppia. Il rapporto tra SOL2 e DO2 (distanza di quinta) è 3⁄2, come facilmente evincibile dalle figure 1 e 2.

[fig. 2] I primi 7 armonici generati da una corda vibrante.
L’unisono (DO1–DO1) e l’ottava (DO1–DO2) sono intervalli molto consonanti ma particolari perché mettono la nota unicamente in relazione con se stessa. Dopo di essi l’intervallo di quinta (DO1–SOL1) è quello più consonante (le due note cioè hanno molti armonici in comune). Pitagora utilizzò proprio questo intervallo per definire le note della scala musicale: saltando di quinta in quinta (DO1 – SOL1 – RE2 – LA2 – MI3 … ecc.) egli potè trovare tutti i dodici suoni in cui ancora oggi è suddivisa una ottava (DO1–DO2) con uno scarto di approssimazione minimo (detto comma pitagorico), considerando i mezzi tecnici a sua disposizione.

TEMPO E RITMO

Il tempo di un brano, identificato dalla frazione posta accanto alla chiave all’inizio dello spartito, indica la grandezza di ciascuna battuta del brano stesso. Si differenzia dal ritmo che è tutt’altra cosa, ossia la successione dei diversi valori (durate) delle note di un pezzo. Il tempo ci dà però anche un’altra importantissima informazione, ossia quanti accenti ritmici vi sono in una battuta (lo spazio tra 2 stanghette verticali).
In matematica posso semplificare la frazione 4⁄4 in 2⁄2 in quanto equivalenti; viceversa in musica l’equivalenza decade perché nel primo caso avremo 4 accenti per battuta, nel secondo solamente 2. E ancora 6⁄8 si semplifica matematicamente in 3⁄4 ma in musica nel primo caso avremo 2 accenti, mentre nel secondo 3.
La nostra percezione fisiologica del tempo si rifà a 3 suddivisioni fondamentali: 2, 3 e 4. Qualsiasi tempo più grande viene ricondotto sempre al più semplice di questi 3 schemi. Dunque come assimiliamo noi un tempo di 6⁄8? Dividendolo inconsciamente in 3+3, quindi in 2 gruppi accentuativi principali (schema del 2). Ecco spiegato perché il 6⁄8 si rifà allo schema del 2. Come assimiliamo il 12⁄8? Dividendolo in 3+3+3+3, quindi in 4 gruppi accentuativi (schema del 4). Anche un tempo irregolare come il 5⁄4, assai usato nella musica jazz, viene percepito come raggruppamento di 2+3 oppure 3+2, a seconda della posizione degli accenti scelta dal compositore.

FORMA

Nella musica, la forma svolge da sempre un ruolo essenziale. Ogni brano è, nei fatti, un percorso, un viaggio, costituito da innumerevoli articolazioni, nel quale ci si allontana più o meno da “casa” e si percorrono sia strade nuove sia strade già note. Quelle nuove contribuiscono a stimolare la curiosità e ci invogliano a continuare il viaggio; quelle già note però ci permettono di mantenere dei punti saldi di riferimento, per non smarrirci. Vi è dunque una continua alternanza tra fasi espansive (con tendenza al nuovo, ad allontanarsi) e fasi distensive (con tendenza a ritornare su percorsi noti). La forma serve a gestire queste due componenti nel modo più efficace possibile, affinché lo slancio verso il nuovo e la tensione verso “casa” siano opportunamente bilanciati.
Parlando delle parti in cui viene suddiviso un brano (macrostruttura), ci sono schemi formali che hanno dato da secoli prova della loro efficacia:

  • A–A1: dove ad una prima parte espositiva delle idee musicali (A) segue una seconda (A1) che, pur ripercorrendole, le varia fornendoci uno stimolo;
  • A–B–A: dove l’idea iniziale A si alterna ad una totalmente nuova B, prima della ripresentazione finale già nota di A;
  • A–B–A–C–A–D–A… ovvero il rondò (circolo), dove l’idea iniziale A viene ripetutamente utilizzata in alternanza a idee sempre variate e diverse B, C, D… ecc. Questa struttura tipica del XVIII-XIX secolo è, se ci pensiamo bene, quella adottata dalle nostre moderne canzoni, costruite sull’alternanza tra ritornello (sempre uguale) e strofe (differenziate fra loro).

Considerando ora invece la microstruttura di un brano, ovvero le articolazioni interne ad una parte macrostrutturale (ad esempio le articolazioni interne ad A), scopriamo che la musica è davvero assimilabile ad un linguaggio, poiché come esso si presenta suddivisa in periodi, frasi, semifrasi, incisi e piedi. Il piede è la più piccola unità ritmica che indica in modo compiuto il movimento (in letteratura costituito da almeno 2 sillabe). Può corrispondere a mezza battuta, talvolta anche meno. Classicamente 2 piedi formano un inciso, 2 incisi una semifrase, 2 semifrasi una frase e 2 frasi un periodo. Ma naturalmente nella storia della musica esistono anche periodi irregolari formati da un numero variabile di frasi, incisi e piedi che ne aumentano la carica drammatica.

RIPETIZIONE E SIMMETRIA

Da un punto di vista estetico, la ripetizione è un classico canone di bellezza. La ripetizione tuttavia non deve rimanere sempre uguale a se stessa, altrimenti a lungo andare provocherebbe una sensazione di noia. Essa al contrario deve sempre essere innovata mediante piccole ‘variazioni sul tema’. Questi minuti e continui cambiamenti nella copia di un modello comune catturano lo spettatore, che si ritrova sempre stimolato dalle novità introdotte pur restando sempre in un contesto già noto. La natura ci offre molti modelli che si ispirano a questo paradigma: una fiamma ardente, i fiocchi di neve, il broccolo romanesco, la felce (fig. 3). Anche nell’arte si segue lo stesso paradigma.

[fig. 3] La simmetria in natura: il fuoco, i fiocchi di neve, il broccolo romanesco, la felce.
La ripetizione più banale è ottenuta traslando in orizzontale o in verticale l’oggetto originale; si può tuttavia introdurre una variabilità applicando all’oggetto ad esempio uno stiramento. Maggiori possibilità di variazione inoltre sono introdotte sfruttando la simmetria. Essa riproduce il modello secondo regole geometriche ben precise. Le simmetrie più semplici sono quelle rispetto ad un asse orizzontale o verticale.
Ripetizione e simmetria sono concetti utilizzati ampiamente anche in musica. Lo spartito musicale infatti può essere considerato alla stregua di un grafico matematico in cui l’asse delle ascisse rappresenta il tempo e l’asse delle ordinate indica la frequenza (altezza) delle note. Ecco in fig. 5 come le trasformazioni sopra descritte si possono applicare ad uno spartito (in questo caso la prima battuta di Fra Martino).
La forma musicale che sfrutta maggiormente queste trasformazioni si chiama Canone (dal greco Kanon = legge o regola). Il canone più famoso (e semplice) è senza dubbio il già citato Fra Martino; si tratta di una canzone popolare francese del XVIII sec. attribuita a Jean Philippe Rameau in cui la voce principale viene ripetuta ad intervalli costanti. Altro esempio, famoso in quanto utilizzato spesso come colonna sonora dei matrimoni, è il Canone del religioso e musicista tedesco Johann Pachelbel (XVII sec.).

[fig. 4] Le trasformazioni applicate alla prima battuta di "Fra Martino campanaro".

JOHANN SEBASTIAN BACH (1685-1750)

Colui che ha utilizzato queste trasformazioni con grande maestria è stato Johann Sebastian Bach, compositore e musicista tedesco del periodo barocco. Bach aveva una particolare predilezione per il numero 14: se si fa corrispondere ad ogni lettera dell’alfabeto1 un numero progressivo (A=1, B=2, C=3, ecc.) secondo il procedimento chiamato gematria, si vede che le lettere B-A-C-H corrispondono ai numeri 2-1-3-8, la cui somma vale 14. Se alle lettere BACH si aggiungono anche le iniziali JS, si ottiene 41 che è lo speculare di 14. Elenchiamo ora alcune notevoli opere di Bach costruite matematicamente.
Il tema dell’aria iniziale delle Variazioni Goldberg (BWV 988, 1741-1745) consta, una volta depurato dagli abbellimenti, di 14 note. Le Variazioni comprendono: 1 (=A) aria, 3 (=C) variazioni in minore e 28 pezzi rimanenti (2=B e 8=H): ridistribuendo le lettere troviamo ancora BACH.
Nell’Arte della Fuga (BWV 1080, 1740-1750) sono presenti 14 contrappunti, di cui 2 (=B) fughe a specchio, 1 (=A) grande fuga, 3 (=C) fughe a imitazione e 8 (=H) fughe semplici doppie e triple, ancora BACH. Applicando la gematria al titolo originale tedesco “Die Kunst der Fuga”2 si ottiene il numero 158, lo stesso numero che si ottiene applicando la gematria al nome completo “Johann Sebastian Bach”. E ovviamente 1+5+8=143!!! Di mirabile costruzione risulta il Contrapunctus VII a 4 voci per aumentazione e diminuzione: al suo interno Bach riuscì ad inserire ben 28 (il doppio di 14) ripetizioni del tema principale, usando 16 moti retti e 12 moti contrari, con aumentazione e diminuzione.
L’Offerta Musicale (BWV 1079, 1747) fu scritta da Bach in onore del re Federico II di Prussia, grande appassionato di musica e suonatore dilettante di flauto. Il re invitò Bach a palazzo e gli fece provare i suoi innumerevoli clavicembali, Bach per ringraziarlo gli chiese un tema su cui improvvisare una fuga a 3 voci, cosa che fece puntualmente nonostante il tema proposto fosse piuttosto complicato. Il re allora lo volle sfidare ulteriormente chiedendogli di improvvisare una fuga a 6 voci sullo stesso tema, Bach riuscì nell’impresa usando un tema semplificato e si ripropose di spedire successivamente al re la fuga sul tema completo. Alla fine, oltre alla fuga, Bach aggiunse altri 12 pezzi, tutti dedicati al re. Di particolare interesse risulta il cosiddetto Canone Cancrizzante, che può essere suonato in contemporanea partendo dall’inizio (moto retto) e partendo dalla fine (moto retrogrado).

[fig. 5] Le 14 note che compongono l'aria iniziale delle Variazioni Goldberg.

Nel gennaio 1974, nella terza pagina di copertina di una stampa originale delle Variazioni Goldberg, venne ritrovato un foglio manoscritto che, dopo perizie tecniche e calligrafiche, fu attribuito senza ombra di dubbio a Bach. Si trattava di 14 Canoni sulle prime 8 note del basso Goldberg (BWV 1087, 1747). Bach li compose per motivi di analisi e di speculazione teorico-matematica. Tutti i canoni trovano spazio in un’unica facciata perché sono trascritti in modo ‘enigmatico’, nel senso che Bach ha scritto soltanto la voce principale mentre tutte le altre sono solo abbozzate usando dei simboli particolari che vanno ovviamente decifrati. Una specie di Settimana Enigmistica ante litteram. In questa sede citiamo soltanto il Canon Duplex a 4 voci, che prevede una parte principale (moto retto) coesistente esattamente con la sua riflessa rispetto ad un asse orizzontale (moto inverso).
Bach non ha scritto alcun pezzo che possegga interamente la trasformazione retrograda inversa. In generale questa tipologia di canone è molto rara, poiché la sua costruzione risulta particolarmente ostica. A causa del fatto che le due trasformazioni (riflessione sia sull’asse orizzontale che sull’asse verticale) corrispondono ad una rotazione di 180°, questi canoni sono anche detti canoni al tavolo perché possono essere suonati contemporaneamente da due esecutori disposti uno di fronte all’altro ai due estremi di un tavolo leggendo lo stesso spartito. L’esempio più famoso è il Canone a Specchio, di origine incerta ma attribuito probabilmente a Mozart.

FRANCESCO GIOIA, GIULIO PRAVISANI


[1] Al lettore curioso, che volesse cimentarsi con i conti, segnaliamo (senza addentrarci in motivazioni storiche) che questo alfabeto vede come “intercambiabili” le lettere “i” e “j”, che pertanto riceveranno lo stesso valore numerico (9).
[2] Questa forma del titolo è tratta dal Mus. ms. Bach P 200.
[3] Se le strutture matematiche utilizzate da Bach sono ineccepibili, è opportuno ricordare che queste coincidenze numerologiche, per quanto suggestive, vanno comunque valutate sotto un profilo più ludico che scientifico.

Dal Friuli al Grande Nord

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La presentazione di Gesù al Tempio: un inedito olio su tavola di Maestro veneziano-cretese del XVI secolo

L’opera oggetto del presente studio (un olio su tavola di 65×52 cm), inedita e recentemente riportata all’attenzione del pubblico, rappresenta la Presentazione di Gesù al Tempio – noto episodio dell’infanzia di Gesù, descritto in Luca 2,22-39. Sulla scorta di quanto emerso dalle prime ricerche, il dipinto sembra compatibile a livello storico e culturale con l’ambiente culturale veneziano del XV e XVI secolo, verosimilmente in riferimento alla cultura figurativa dei diversi pittori greci attivi a Venezia dalla seconda metà del Quattrocento fino a tutto il Cinquecento; un ambito questo, famigliare anche a Dominikos Theotokopoulos, detto El Greco, pittore, scultore ed architetto, nato a Candia nel 1541, morto a Toledo il 7 aprile 1614.

Appare utile rilevare che la traditio iconografica della Presentazione di Gesù al Tempio è ampia e documentata: basti ricordare, per limitarci ai secoli XIV, XV e XVI in ambito italiano, le Presentazioni al Tempio di Ambrogio Lorenzetti (risalente all’anno 1342, già nel Duomo di Siena, attualmente conservata nella Galleria degli Uffizi di Firenze), di Gentile da Fabriano (databile all’anno 1423, ora custodita presso il Museo del Louvre di Parigi), del Bea­to Angelico (un affresco questo situabile tra il 1440 ed il 1441 circa, dipinto per il convento di San Marco a Firenze, dove ancora oggi si trova), di Andrea Mantegna (opera eseguita a Padova intorno al 1455 circa, una tempera su tavola che adesso è nella Gemalde Galerie di Berlino) nonché ancora, specificamente per l’area veneziana, quella di Giovanni Bellini (collocabile intorno al 1460 circa, oggi appartenente alla collezione della Fondazione Querini Stampalia di Venezia) e di Lorenzo Lotto (quest’ultima datata al 1555, oggi esposta nella Pinacoteca della Santa Casa di Loreto). Analogamente a quanto è possibile stabilire per gli exempla citati, anche nell’opera qui presentata riconosciamo la Sacra Famiglia, San Giuseppe, la Beata Vergine Maria, ed il Bambino Gesù, qui raffigurati insieme alla profetessa Anna e a San Simeone, nel Tempio di Gerusalemme in occasione della Presentazione di Gesù al Tempio, quaranta giorni dopo la nascita del Messia.

Maestro veneziano-cretese (XVI sec.), "Presentazione di Gesù al Tempio".
Maestro veneziano-cretese (XVI sec.), "Presentazione di Gesù al Tempio".

La cerimonia dell’offerta del bimbo a Dio era prescritta dalla Legge giudaica per tutti i maschi primogeniti in ossequio all’Esodo (Es 13,2.11-16): in questa occasione la puerpera compiva l’offerta prescritta dal Levitico (Lv 12,6-8). L’iconografia della Presentazione di Gesù al Tempio è ricca di significati simbolici di ordine teologico validi per l’universalità dei Cristiani: l’atto di presentazione del bimbo a Dio rimanda infatti all’azione salvifica, per la quale Dio Padre ha mandato il suo Figlio unigenito per riscattare l’umanità dal peccato. La Presentazione di Gesù al Tempio oggetto della presente analisi mostra Simone il vecchio, San Simeone, uomo giusto e timorato di Dio (Lc 2,22-35), un anziano a cui lo Spirito Santo aveva preannunziato che non sarebbe morto prima di avere visto il Messia. San Simeone, qui in posa orante secondo traditio, è altre volte rappresentato mentre tiene tra le braccia il Bambino Gesù; rende gloria a Dio con la preghiera Nunc dimittis, anche detta cantico di Simeone, nella quale annuncia che il Bambino Gesù sarebbe stato luce per le nazioni e gloria di Israele, profetizzando inoltre alla Beata Vergine Maria la sua diretta partecipazione alle vicende dolorose della vita terrena del figlio. San Simeone è venerato come Santo già nei primi secoli dell’era cristiana: risale infatti al VI secolo la traslazione delle sue reliquie dalla Terra Santa a Costantinopoli. Nell’anno 1243 le reliquie del Santo pare siano state portate in un primo tempo a Zara e quindi certamente a Venezia, ove oggi si conservano nella chiesa dedicata al Santo. Appare utile rilevare che secondo la tradizione della Chiesa cristiana Ortodossa, Simeone è uno dei settanta traduttori della Septuaginta, testo di fondamentale importanza per quella Chiesa; la tradizione vuole che il Santo abbia esitato nel tradurre il passo di Isaia in cui si legge: Il signore vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emanuele (Is 7,14). San Simeone è considerato, con la profetessa Anna di cui diremo tra poco, l’ultimo Profeta dell’antico Testamento. Luca (Lc 2,36-38) riferisce le profezie messianiche della profetessa Anna, un’anziana vedova di ottantaquattro anni, figlia di Fanuele della tribù di Aser, la quale – assai devota – non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio continuamente con digiuni e preghiere. Stando all’Evangelista, Anna lodò Dio e parlava del Bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme (Lc 2,36-38). In proposito, segnatamente rispetto a quanto rappresentato nell’opera oggetto del presente studio, appare utile considerare che la chiesa Ortodossa ha sempre venerato la profetessa Anna come Santa, analogamente a quanto fatto nei confronti di Simeone il giusto, considerandoli entrambi gli ultimi profeti dell’Antico Testamento. La figura di Anna è tradizionalmente presente nelle icone raffiguranti la Presentazione di Gesù al Tempio, associata a quelle della Madonna e di San Simeone. La tradizione ortodossa ritiene che Gesù abbia per la prima volta incontrato il suo popolo, Israele, proprio attraverso le personalità di Anna e Simeone; nelle raffigurazioni iconografiche relative, Anna, come in questo caso orante, è talvolta situata vicino alla Madonna, ritratta con la mano alzata sul bambino per indicarlo come Cristo; altre volte è intenta a reggere un rotolo, nell’iconografia ortodossa attributo tipico dei profeti, qui sostituito dal libro posto accanto al Bambino Gesù. La Chiesa Cattolica romana ha condiviso con l’Oriente cristiano la tradizione della venerazione della profetessa Anna, correlandola a quella di San Simeone. Il Martyrologium Romanum infatti recita: a Gerusalemme, commemorazione dei Santi Simeone e Anna, il primo anziano giusto e pio, l’altra vedova e profetessa: quando Gesù bambino fu portato al tempio per essere presentato secondo la consuetudine della legge, essi lo salutarono come messia e salvatore, beata speranza e redenzione d’Israele. Si comprende dunque come la tavola qui presentata, eloquentemente, rimandi alla traditio della Scuola cretese, l’importante movimento pittorico post-bizantino attivo sull’isola nella seconda metà del Cinquecento, all’interno del quale il giovane Dominikos ebbe modo di formarsi tra il 1541 ed il 1567. Appare utile rilevare infatti che, analogamente a questa Presentazione di Gesù al Tempio, la più nota Dormizione della Vergine (una tempera e oro su tavola di 61,4×45 cm, anteriore all’anno 1567, probabilmente realizzata verso la fine del periodo cretese, oggi conservata nella Cattedrale della Dormizione della Vergine di Ermoupoli a Syra) significativamente unisce tutta una serie di forme stilistiche ed iconografiche proprie dell’arte post-bizantina, con alcuni fattori dello stesso tipo, certamente riconducibili alle influenze della pittura italiana, anche veneziana, del Rinascimento. Sono dunque questi importanti e significativi elementi – eminentemente iconografici-teologico-contenutistici, alcuni dei quali direttamente prelevati dalla traditio della patristica greca e latina, dunque certamente organici alla tradizione ortodossa e quindi propri dell’arte post-bizantina – il discriminante fondamentale che ci permette, verosimilmente, di collocare questa Presentazione di Gesù al Tempio entro un ambito culturale certamente famigliare al giovane el Greco, datandola ad un tempo forse compreso tra la fine del periodo cretese ed i primissimi tempi del soggiorno veneziano.
Gian Camillo Custoza

La Danza Macabra

La Danza Macabra è la manifestazione medievale della caducità della vita umana e del trionfo della morte realizzata attraverso un tema iconografico in cui danzano uomini e scheletri. Esprime il concetto, spesso dimenticato, che di fronte alla morte siamo tutti uguali, senza eccezioni. Umili e potenti non possono sottrarsi all’ineluttabile momento in cui arriva la fine della nostra esistenza. Nel Tardo medioevo il monito latino “memento mori”, cioè ricordati che devi morire, fu rappresentato soprattutto con affreschi dipinti di solito nei luoghi di culto, come chiese e cappelle votive, oppure chiostri e ossari. Gli affreschi che riproducono la danza macabra sono numerosi in Europa, sparsi in Italia, Francia, Germania e nei paesi nordici. Questi dipinti di solito rappresentano un corteo con diversi personaggi appartenenti a tutte le classi sociali che si trovano, prima o dopo, a dover pagare il debito con la Signora dal mantello nero e la falce. Continua a leggere La Danza Macabra