“Yossl Rakover si rivolge a Dio” di Zvi Kolitz

Con l’avvicinarsi della XXV Giornata di Amicizia Ebraico Cristiana (anticipata quest’anno al 16 gennaio, per dare modo anche ai fratelli Ebrei di potervi partecipare, in quanto cadendo il 17 gennaio di venerdì, nel pomeriggio/sera già accolgono la Festa del Sabato), presentiamo un libriccino davvero “esile”: perché «Yossl Rakover si rivolge a Dio» nell’attuale versione a stampa (Adelphi) conta poco più di 18 paginette. La storia in apparenza sembra appartenere al classico ciclo di testimonianze sulla spietatezza e sugli orrori del nazismo: Yossl è uno dei combattenti della resistenza del Ghetto di Varsavia. Durante la Pesah del ’43 le SS compiono una violenta irruzione nel ghetto, ma trovano stavolta gruppi di ebrei armati e determinati a respingere l’attacco. È la prima forma di resistenza ebraica organizzata della storia, dopo quella avvenuta ai tempi di Roma nel 135 d.C. (durante la 3ª guerra giudaica, sotto l’imperatore Adriano). Yossl è nascosto all’interno di un palazzo semidistrutto e sta aspettando di morire. Sa che dovrà morire, dovrà condividere la stessa sorte degli undici cadaveri che giacciono accanto a lui. E così scrive e ci consegna, “tra pietre carbonizzate e ossa umane, sigillato con cura in una piccola bottiglia”, questo suo testamento spirituale: soprattutto nel periodo della persecuzione, per gli ebrei scrivere era considerato un atto di rivolta supremo, da trasmettere ai posteri; e ogni testimonianza scritta andava salvata ad ogni costo. La legge rabbinica, infatti, prescrive che venga protetto da mani sacrileghe qualsiasi frammento di pergamena o papiro (o, per estensione, di carta) sul quale fosse scritto integralmente o anche solo in parte il nome di Dio.
Ma allora cosa rende così particolare questo breve testo? Tutto è racchiuso nel titolo stesso, ovvero nel modo in cui Yossl si rivolge a Dio. Lui è Giobbe, capace di accettare per fede qualunque prova Dio vorrà mandargli. Ma lo è in modo differente e, soprattutto, molto più maturo; lui stesso dice: “Prima, quando vivevo nel benessere, avevo con lui il rapporto che si ha con un instancabile benefattore, e nei suoi confronti rimanevo sempre in debito. Ora quello che ho con lui è il rapporto con uno che anche a me deve qualcosa, che mi deve molto. E poiché sento che anche lui è in debito con me, credo di avere il diritto di esigere ciò che mi spetta”.
Yossl concorda con le letture più profonde, che vedono questo come un periodo di occultamento del volto divino, consegnando così l’uomo ai propri istinti più selvaggi. In questi momenti, in cui – secondo il filosofo Emmanuel Lévinas – “l’individuo non può trionfare se non nella propria coscienza”, la fede di Yossl non vacilla. Ma, forse per la prima volta, esige risposte a degli interrogativi davvero profondi. E le esige direttamente da Dio: “esiste al mondo una colpa che meriti un castigo come quello che ci è stato inflitto? esiste al mondo una punizione che possa far espiare il crimine commesso contro di noi? che cosa ancora deve accadere perché Tu mostri nuovamente il Tuo volto al mondo?”. Ancora Lévinas commenta che “la condizione delle vittime in un mondo dove il Bene non riesce a trionfare è la sofferenza. Ciò rivela un Dio che rinuncia ad ogni manifestazione pietosa per fare appello alla piena maturità dell’uomo totalmente responsabile”. È dunque un Dio che viene dal di dentro, da un’intimità che coincide con la fierezza dell’essere ebreo. E Yossl lo sa bene, quando senza arroganza ma con fermezza dice a Dio: “Non tendere troppo la corda, perché, non sia mai, potrebbe spezzarsi”. Sempre con le parole di Lévinas, “solo l’uomo che ha riconosciuto il Dio velato può pretenderne lo svelamento”.
Però, colpo di scena: Yossl Rakover non è mai esistito. È solo personaggio nato in una notte dalla fantasia del suo autore, Zvi Kolitz. E davvero di fantasia si tratta, perché degli avvenimenti storici narrati Kolitz non ne ha mai fatto esperienza. Occorre dunque ancora un po’ di attenzione per poter svelare anche questo piccolo mistero. Kolitz è un ebreo lituano, nato nel 1919 ad Alytus – ricordiamo che è scomparso pochi anni fa, nel 2002. Nella sua cittadina natale era presente una vasta comunità ebraica, di più di seimila persone; ed era una comunità particolare: per motivi storici, che partono dalle prime colonizzazioni al tempo del Medioevo ma si rafforzano attorno all’Ottocento, questa enclave aveva guadagnato una autonomia e una ricchezza intellettuali uniche nella storia. Da nessun’altra parte si contavano altrettanti giornali, riviste, case editrici, scuole. Lì si potevano leggere e studiare tutti i classici della letteratura mondiale. È dunque alla scuola di Alytus che Zvi Kolitz impara, senza timori reverenziali, a trattare alla pari con Dio. Ma la storia si complica: con le prime rappresaglie staliniste del ’37 lascia il paese per recarsi alla volta di Firenze, dove studierà storia. Importante è però il passo successivo: nel ’40, infatti, va a Gerusalemme, diventando un estremista con il fine della creazione di uno Stato ebraico. Alytus, nel frattempo, era diventato il maggior mattatoio della Lituania. Ma in Israele poco trapelava degli eventi europei. Kolitz è indubbiamente un attivista a trecentosessanta gradi: non solo sul piano intellettuale, come giornalista, scrittore, propagandista; ma anche regista cinematografico (suo il primo film israeliano “Collina 24 non risponde”, premiato a Cannes), procacciatore di fondi per la causa israeliana e agente segreto. È dunque questa la spinta intellettuale ed eversiva che porta Kolitz a scrivere, in poche ore, il testo di Yossl Rakover, nel quale travasa la tensione degli anni tra la rivolta di Varsavia [1943] e la fondazione dello stato di Israele [1948]. Le esperienze cui attinge non sono dunque vissute nel ghetto morente bensì piuttosto nella battaglia per la conquista di un “focolare ebraico”. L’agonia che il racconto descrive rispecchia allora i primi momenti di una nascita incredibile, unica nel suo genere: quella dello Stato di Israele.
Il racconto su Yossl Rakover, compilato quindi in una notte, verrà pubblicato nel settembre ’46 per una rivista yiddish dell’Argentina. Pochi mesi dopo un anonimo copista epura lo scritto di Kolitz di autore, titolo, epigrafe e indicazione di “racconto” e lo spedisce a Tel Aviv, dove viene pubblicato come documento “autentico”. Da qui in poi, nonostante tutte le rivendicazioni di attribuzione da parte di Kolitz, spesso respinte o disattese, la storia di Yossl Rakover si diffonde senza il suo autore e per decenni, in tutto il mondo, tantissimi rabbini e semplici ebrei la hanno letta, tradotta, analizzata, studiata e recitata, ignorandone la paternità. Ma tutto ciò non limita assolutamente il valore intrinseco di questo racconto. Persino lo stesso Lévinas lo definisce un “salmo moderno, una bellissima preghiera, nella quale noi tutti superstiti riconosciamo con sbalordito turbamento la nostra vita”.

abustef

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